di Davide Drago
L'Iran nel corso del Novecento ha cambiato volto più di una volta e spesso sulla pelle delle sue cittadine. Sotto la dinastia dello Shah Reza Pahlavi, iniziata nel 1926, un processo di modernizzazione forzata del Paese aveva bandito l’uso del velo e concesso alle donne l’ingresso all’Università di Teheran.
Nel 1942, Mohammad Reza Pahlavi, figlio dello Shah, proseguì il lavoro avviato dal padre, la chiamarono «Rivoluzione Bianca», una serie di cambiamenti che riformarono, soprattutto, lo stato di famiglia. Vennero tutelati i diritti delle donne in materia di divorzio, la poligamia subì una limitazione e venne concesso alle cittadine il diritto di voto. Per molte, però, si trattò di un’occidentalizzazione forzata: in un Paese a maggioranza musulmana (sciita), il divieto di indossare il velo scatenò contestazioni. In tante, per protesta, decisero di sostituire il chador con un mantello lungo e largo, rischiando l’arresto.
Nel 1979 la Rivoluzione e il rovesciamento dello Shah portarono al potere l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, leader religioso e oppositore della dinastia Pahlavi. Ma la sua presa del potere portò con sé una serie di misure restrittive delle libertà femminili, mai del tutto cancellate. Il 6 marzo 1979, tutte le giudici furono private dei loro incarichi, a molte ragazze venne impedito l’accesso all’istruzione superiore e alle facoltà di Giurisprudenza. E l’uso dell’hijab, in pubblico, divenne obbligatorio.
Anche lo sport, dal 1979, resta bandito per le cittadine dell'Iran. Prima di quella data le atlete erano libere di non indossare lo hijab, ma la rivolzione cambierà per sempre usi e costumi dell'Iran. Così, le atlete iraniane negli anni Settanta indossavano divise del tutto simili a quelle delle rivali occidentali, cosa che non accadde più successivamente. Dal 1982 alle donne iraniane è proibito per legge l’accesso agli stadi e fare sport ad alti livelli è sempre più difficile, ma in tante non si arrendono e hanno in questi ultimi anni provato a trasgredire.
Il divieto imposto alle donne iraniane di assistere alle manifestazioni sportive, fatta eccezione per gli eventi sportivi in cui le atlete siano donne e obbligate a osservare gli standard dell'abbigliamento islamico, è solo una delle numerose questioni alla base delle attuali proteste di massa scoppiate da un capo all'altro del paese contro il regime oppressivo e repressivo guidato dagli ayatollah. Nel corso degli anni, gli sport sono stati usati dagli attivisti anti-regime come un simbolo di libertà.
Nel 2005, Niloufar Ardalan decise di assistere a una partita di calcio della nazionale maschile. Elham Asghari nel 2013, nonostante fosse costretta a gareggiare con l’hijab, riuscì a battere ogni record, nuotando per 18 km nel Mar Caspio. Masih Alinejad, in esilio tra Londra e New York, che nel 2014 ha lanciato «My Stealthy Freedom-The right for individual Iranian Women to choose whether they want hijab (il diritto individuale delle donne iraniane di scegliere se volere l’hijab, ndr)». Nato come una pagina Facebook che invitava le donne a postare foto di loro stesse senza velo, il sito ha attirato migliaia di Like e l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Nel 2015, il Geneva Summit for Human Rights and Democracy le ha conferito il premio Women’s Rights Award, per «aver dato voce a chi non ce l’ha, stimolando la coscienza degli esseri umani a sostenere la lotta delle donne iraniane per i diritti fondamentali, la libertà e l’uguaglianza».
Durante le Olimpiadi di Rio 2016 le atlete si sono mostrate completamente diverse rispetto a 40 anni prima. Dalla sfilata inaugurale, percorrendo tutte le discipline in cui erano impegnate, le sportive iraniane - come la canoista Mahsa Javer o la lanciatrice del peso Leila Rajabi – avevano coperto testa, braccia e gambe, con tessuti super tecnici.
L’attivista iraniana Darya Safai, ha sfidato le restrizioni imposte dal suo pasere e ha assistito a una partita di pallavolo maschile, alle Olimpiadi di Rio, tra Iran e Russia esponendo uno striscione con scritto: «Lasciate che le donne iraniane entrino nei loro stadi».
Una settimana prima dell'8 marzo, giornata internazionale della donna, trentacinque donne e ragazze che indossavano abiti maschili sono state arrestate in Iran per aver tentato di entrare allo stadio di Teheran per assistere al derby tra Persepolis ed Esteghlal, che è la partita di calcio più importante dell'anno in Iran. Le donne, la più giovane delle quali aveva 13 anni, sono state prelevate con la forza e "trasferite in un luogo appropriato", come era accaduto più volte negli anni precedenti, quando altre donne hanno provato ad entrare in stadi del loro paese.
All’evento era presente anche il presidente della Fifa Gianni Infantino, che proprio in mattinata, nel corso di una conferenza stampa, aveva esortato la politica a tenersi lontana dalle manifestazioni sportive.
Essendo Infantino il presidente della Fifa, il suo arrivo alla partita è stato visto dagli iraniani in cerca di libertà come un'opportunità per costringere il loro governo a revocare il divieto imposto alle donne di partecipare come spettatrici alle manifestazioni sportive.
Infantino, che la mattina aveva dichiarato che la politica deve stare lontana dagli stadi, ha presenziato al derby in compagnia del presidente iraniano Hassan Rohani. Durante l'intervallo della partita, quando una giornalista ha cercato di fare una domanda a Infantino sul divieto imposto alle donne di assistere agli incontri di calcio, il presidente della Fifa è stato portato via e la diretta televisiva è stata interrotta.
Il giorno successivo, al suo ritorno al quartier generale della Fifa a Zurigo, Infantino ha detto ai giornalisti che Rohani gli aveva promesso che "presto le donne iraniane potranno entrare negli stadi per assistere alle partite di calcio", ma che "nei paesi come l'Iran, per queste cose serve tempo".
Infantino ha deciso di seguire la strada del dialogo, non delle sanzioni. Dialogo che però non sembra stia producendo alcun cambiamento. L'Iran è l'unico tra i paesi partecipanti ai mondiali di calcio a vietare alle donne l'ingresso negli stadi e ogni tentativo di assistere alle partite comporta per le tifose iraniane il rischio di essere arrestate.
Si può nel 2018 essere arrestati soltanto perché si vuole assistere ad una partita di calcio?
Da anni le tifose iraniane chiedono di poter seguire liberamente le proprie squadre. Tra poco più di un mese inizierà il mondiale di calcio e ancora una volta nessuna donna potrà seguire la propria nazionale, per questo è partita da qualche settimana una campagna (https://e-activist.com/page/22632/petition/1?mode=DEMO&locale=en-US) in cui si chiede che la federazione iraniana non continui a perpetrare queste violazioni di libertà. Le organizzazioni sportive internazionali come la FIFA hanno l'obbligo di garantire l'accesso alle donne durante le proprie manifestazioni e speriamo prendano una posizione dura nei confronti della federazione iraniana.