di Davide Drago
Due anni fa, in piena refugee crisis "l’invasione percepita" era in testa alle preoccupazioni e il 36% degli italiani riteneva che gli stranieri nel nostro paese fossero circa 20 milioni. In questi anni lo stato ha risposto positivamente (secondo le tre modalità previste: status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria) a circa il 40% delle domande d’asilo, una percentuale che nel 2016 è leggermente calata. Negli anni il nostro paese ha accolto circa 131mila rifugiati (dato Unhcr giugno 2016).
Forse è il caso di porci qualche domanda: quanti sono 131mila rifugiati sul totale della popolazione? L’“allarme invasione” è giustificato di fronte a questi numeri? Proviamo a confrontarli con quelli di altri stati europei. Per esempio in Svezia la popolazione è circa un sesto di quella italiana (10 milioni) e i rifugiati sono 186mila, ovvero il 50% in più che nel nostro paese. In Germania (82 milioni di abitanti) i rifugiati sono 478mila, quasi 4 volte quelli presenti in Italia. Secondo il rapporto Eurispes sull'Italia 2018 solo il 28,9% dei cittadini sa che l'incidenza di stranieri sulla popolazione è dell'8%. Più della metà del campione, al contrario, sovrastima la presenza di immigrati nel nostro Paese: per il 35% si tratterebbe del 16%, per ben il 25,4% addirittura del 24% (un residente su quattro, a loro avviso, sarebbe non italiano).
Su questi falsi allarmi, qualcuno ci ha costruito una campagna elettorale e ha pure vinto le elezioni. Dagli slogan è passato ai fatti, ed è notizia di ieri che Matteo Salvini ha deciso di chiudere i porti italiani. Una svolta senza precedenti imposta dal ministro degli Interni e avallata da quello alle Infrastrutture. La nave Aquarius, che batte bandiera di Gibilterra, in navigazione con 629 naufraghi provenienti dal Nordafrica, tra cui 123 minori non accompagnati, non potrà attraccare nel nostro paese.
Questa introduzione sembra che non c'entri nulla con gli argomenti trattati dalla redazione di Sport alla Rovescia, ma è invece essenza stessa del nostro modo diverso di concepire lo sport. In questi anni sono state tantissime le squadre popolari e indipendenti che hanno accolto nelle proprie squadre rifugiati e richiedenti asilo, proprio per testimoniare che a partire dallo sport si può avere un'accoglienza degna e una vera integrazione.
Essere parte di un periodo storico e contribuire in prima persona al cambiamento dello stesso è una scelta. Da anni a Milano sono tante le realtà che hanno fatto questa scelta: essere protagonisti e dare a tutti la possibilità di giocare a calcio. I Black Panthers, i Corelli Boys ed i Corelli Lions, i Blue Boys e la Thomas Sankara FC, che per anni hanno giocato in campionati UISP e amatoriali, hanno deciso di unire le forze per iniziare una nuova sfida quella del calcio federale partendo dalla terza categoria. Nasce quindi a Milano la prima squadra di richiedenti asilo e rifugiati: la Sant'Ambroeus Football Club. Nome caratteristico che richiama Milano e il suo Santo patrono, che schiaccia l'occhio al St. Pauli e alla San Precario (i santi vanno forte anche nel calcio popolare…) e che sottolinea che, nonostante provenienze diverse tutti i calciatori sono milanesi.
Per Gian Marco Duina, uno tra i promotori della squadra, la scelta di iscriversi in federazione non è un lanciarsi nel vuoto, ma significa progettare in maniera seria e con dedizione un'esperienza che non può essere un'avventura sporadica frutto di stagioni fortunose.
Il St. Ambroeus FC si vuole porre a Milano come il punto di riferimento sportivo di integrazione e antirazzismo, una famiglia allargata con basi solide e identificate. Tutto questo attraverso un'attività sana come il calcio, veicolo di conoscenza, scambio e socialità, un eccellente modo per superare tutte le forme di razzismo e un tramite per capire ed assimilare il rispetto per le regole. Il calcio è una lingua universale, che ci ha dimostrato essere uno degli strumenti di integrazione più efficaci in contesti difficili come le periferie milanesi. La squadra può contare su un bacino di almeno 60 atleti provenienti per la maggior parte dall’Africa Occidentale, ma anche dal resto del mondo, giovani come un’età media di 23/24 anni, in attesa di un giudizio della Commissione territoriale per il riconoscimento dell'asilo politico o della protezione sussidiaria o umanitaria.
Il 26 novembre 2017 all’Arena Civica di Milano, si è disputata la partita di campionato tra Black Panthers e Corelli Boys, nuovo derby milanese, un primo passo per il riconoscimento di questa realtà come parte integrante del tessuto sociale cittadino. Il progetto si avvale anche della sezione femminile, la neonata squadra formatasi in occasione della campagna AltriMondiali 2018 come strumento protagonista di un programma volto ad ottenere concrete pari opportunità nel mondo dello sport.
Il Sant'Ambroeus nasce come squadra composta da richiedenti asilo, ma da statuto sarà aperta a tutti. Per Gian Marco «la scelta di formare una squadra di migranti, rifugiati e richiedenti asilo ha un motivo ben preciso. Nel progetto non ci si pone soltanto l'obiettivo dell'integrazione, ma anche quello dell'emancipazione: il tesseramento e il percorso in FIGC diventa per questi ragazzi uno strumento di emancipazione. Nel momento in cui si deve decidere a chi dare la precedenza in questo percorso si è deciso di farlo nei confronti dei ragazzi stranieri che, in questo periodo della loro vita si trovano in un momento di difficoltà. L'integrazione è un pilastro fondante del Sant'Ambroeus. Un'integrazione che in primis deve partire dai ragazzi stessi che compongono la squadra; infatti migranti e rifugiati non sono un'entità unica, al loro interno ci sono decine e decine di “fazioni” anche all'interno di gruppi che provengono dallo stesso Stato. La squadra metterà insieme ragazzi che provengono da paesi che tra loro sono in guerra, che hanno religioni diverse e modi di vivere completamente diversi. Si eviterà la ghettizzazione tra migranti provenienti da diversi paesi e si farà integrazione con gli italiani andando a giocare nei campi milanesi e di provincia portando un messaggio di speranza».
«Adesso - continua Gian Marco- il nostro universo ha deciso di espandersi. Viviamo questa occasione solo come l'inizio di qualcosa di più vasto e duraturo, perché è un'esperienza che ha dato e sta dando grandi frutti sociali e umani. Dobbiamo affrontare tante spese come l’iscrizione, i tesseramenti, le visite mediche, l’attrezzatura sportiva, i campi e le trasferte. Grazie alla vittoria della campagna We Want to Play, possiamo realizzare questo sogno. Vi chiedo di fare questa scelta, di fare una scelta ben precisa, di schierarvi, di non rimanere indifferenti. Non vogliamo essere la loro voce, vogliamo dare loro la voce per essere espressione di se stessi, la storia ci darà ragione, ma la storia dobbiamo costruire insieme. Davanti alle sfide a cui la nostra generazione è chiamata a rispondere, vi chiediamo di schierarvi dalla parte di chi lotta per un mondo più equo, dalla parte di chi pone gli interessi della specie davanti a quelli del profitto, dei confini e delle divisioni.
Scendere in campo contro il razzismo significa oggi essere protagonisti della più grande sfida a cui siamo chiamati a rispondere. La nostra partita è oggi, la nostra vittoria domani; determinare la storia la nostra sfida».
Scendi in campo con il St. Ambroeus e sostieni un modo diverso di concepire il calcio https://www.produzionidalbasso.com/project/st-ambroeus-fc/