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Non tutti lo sanno, ma per rispondere alle convocazioni della nostra nazionale dobbiamo chiedere permesso al datore di lavoro e questo è allucinante…” - CRISTIANA GIRELLI 

 

 8 giugno. Stadio Franchi di Firenze. La nazionale italiana femminile si appresta a trionfare 3 a 0 sulle rivali del Portogallo, conquistando con una giornata di anticipo una qualificazione ai mondiali (Francia 19) che mancava da 20 anni. Con le reti di Girelli, Salvai e Bonansea le azzurre si confermano alla testa di un girone guidato a punteggio pieno. La miglior risposta possibile al compianto presidente della Lega Nazionale Dilettanti Belloli, che riassumeva il proprio programma di sviluppo nella famosa massima: “Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche”.

Basterebbe il confronto fra queste due immagini ad esaurire le stridenti contraddizioni fra il vivace movimento sportivo femminile e l’inadeguatezza di chi è deputato a governarlo. Ciò che ancora non potevamo sapere è che l’8 Giugno sarebbe stata la serata inaugurale di un’estate che se da un lato verrà ricordata per la clamorosa esclusione dell’Italia dal mondiale, dall’altro sta sovvertendo a suon di risultati le gerarchie sportive del belpaese, mettendo a nudo l’atavica arretratezza delle istituzioni federali e il vergognoso approccio maschio-centrico dei vertici organizzativi e giornalistici dello sport made in Italy.

 

UN'ESTATE DI SUCCESSI AL FEMMINILE

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Al successo delle azzurre a Firenze seguiranno una sfilza di risultati di portata storica. Come la vittoria del campionato del mondo di basket 3x3. Il primo trionfo iridato nella storia della federazione italiana pallacanestro, firmato dal quartetto Giulia Ciavarella, Rae Lin D’Alie, Marcella Filippi e Giulia Rullie e formalizzato con la vittoria(16-12) del 12 Giugno contro la Russia. O l’impresa di Alice Volpi, l’atleta senese che battendo 15-12 la francese Thibus vince il primo oro mondiale della sua carriera e riporta il fioretto azzurro sul tetto del mondo dopo 4 anni. E ancora il 2 e 02 di Elena Vallortigara alla Diamond League di Londra, l’oro nella staffetta ai giochi del mediterraneo o il titolo mondiale di Boxe conquistato da Valeria Imbrogno.

Vi è un elemento che unisce questi e i tanti altri recenti successi delle atlete italiane. Più della maglia, più della gloria, più del "collare d’oro" che il Coni riserva loro al ritorno in patria. E’ una legge dello stato vecchia 37 anni: la 91/81, che all’ articolo 2 recita:

sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.

Il risultato è che ci sono solo 4 sport considerati professionistici (calcio, basket, golf e ciclismo), declinati tutti e solo al maschile.

 

LO SCANDALO DEL DILETTANTISMO SPORTIVO

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Non esiste nel nostro paese una sola atleta donna professionista. Da questo punto di vista fa specie pensare che fra Pellegrini, Grenot, Girelli, Cagnotto, Filippi e un terzinaccio spacca caviglie di terza categoria non corra alcun tipo di differenza. A sancirlo è la stesse legge dello stato che relegando le atlete al dilettantismo forzato, nega loro la possibilità di costruire una carriera sportiva e legittima una serie di condotte discriminatorie in barba al diritto di uguaglianza sancito dalla costituzione. Alcuni esempi: L’impossibilità di accedere a contratti lavorativi tipizzati. Il mancato accesso alle tutele previdenziali. Trattamenti economici inadeguati rispetto alle prestazioni fornite o l’annosa questione delle clausole anti-maternità. Particolari condizioni di contratto tramite cui le società vietano alle atlete di rimanere in cinta pena la rescissione del legame contrattuale ed il rischio di non poter tornare a gareggiare.

Se aggiungiamo la ridicola copertura mediatica riservata allo sport femminile ed un approccio giornalistico che predilige i giudizi di valore estetico a quelli di merito sportivo, otteniamo un quadro disarmante. Abbiamo avuto modo di conoscerlo da vicino in occasione del dibattito Same Sport Same Rights che ha coinvolto Cristiana Girelli, attaccante della nazionale italiana ed Alice Bruni di Assist

 

LE PAROLE DI CRISTIANA GIRELLI

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- Quando hai iniziato a giocare a pallone?

Ho cominciato a giocare a calcio a 6 anni con i maschi della squadra del mio paese. A 14 anni sono stata costretta a passare al femminile. Ho sempre avuto la fortuna di avere dei genitori che mi hanno appoggiato. Ci sono un sacco di ragazze che smettono per i pregiudizi di chi gli sta affianco: “ma sei sicura che vuoi giocare a calcio? Forse è meglio se fai danza che poi diventi un maschiaccio!” Ricordo di un dialogo con la madre di una bambina che voleva fare due passaggi con me. Mi disse che voleva farla smettere perché il calcio non è uno sport da femminucce. “Ti vengono le gambe storte e poi diventi lesbica.” Per conto mio, la cosa che contava di più era divertirsi ed io mi sono sempre divertita. E poi lo sport è una metafora di vita. Ti insegna il rispetto e spero che in futuro sempre più bambine ci seguano e comincino a giocare al pallone.

- Quando hai cominciato a capire che come donna poteva essere complicato?

Che lo sport femminile è discriminato te ne accorgi ogni giorno. Pensiamo solo al dato economico. Tanti non lo sanno ma quando vai via con la nazionale devi chiedere permesso al datore di lavoro e questa è una cosa allucinante! La diaria che ti da la federazione non ti basta e molte di noi alternano gli allenamenti a mestieri in cui ti puoi gestire le ore, la rilevazione prezzi ad esempio, così da coordinare i tempi al meglio. In alcuni periodi io faccio 6 sedute di allenamento su 7 giorni settimanali, alle volte doppie. Lascio immaginare la difficoltà di coniugare le due cose. Mi ricordo che ad un raduno con il rugby maschile un addetto ai lavori ci ha chiesto se noi, per come siamo messe, ci comperiamo da sole le scarpette. Non solo ce le compriamo da sole, ma dobbiamo anche andare a cercare gli sconti! Col tempo le cose stanno un po’ migliorando. La federazione ad esempio ha aumentato la diaria accorgendosi che per molte era difficile rinunciare a lavorare. L’arrivo degli sponsor tecnici ci permette per lo meno di ricevere del materiale. L’anno prossimo passeremo sotto la Figc e speriamo di essere maggiormente tutelate. Rimane comunque una grande differenza fra il mondo sportivo femminile e quello maschile. Per la questione professionismo ad esempio ci vorrà del tempo oltre che l’avallo del Coni. Nel frattempo però noi andiamo al mondiale…i maschietti invece no!

- C’è un obiezione comune che tende a giustificare la differenza di trattamento fra donne e uomini ossia la minor spettacolarità dello sport femminile.

“ Guarda…Italia - Portogallo è stata seguita in tv da 400.000 spettatori. E’ chiaro che una differenza c’è, ma differenza non significa minor spettacolarità. Se tu coinvolgi le persone, ottieni dei risultati e non è un caso che fuori dall’Italia i numeri siano altri. La finale del campionato spagnolo è stata giocata nel nuovo stadio del Madrid davanti a 40.000 spettatori. E’ necessario informare. Se le persone non sanno come possono appassionarsi. Mi è venuto spesso da pensare che ciò non si faccia perché siamo scomode, nel senso che la crescita del movimento porterebbe via dei soldi ad altri. Non possiamo che continuare a far parlare i dati, il campo, i numeri perché contro l’evidenza non si può fare nulla.

 

LE PAROLE DI ALICE BRUNI

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- Abbiamo descritto i limiti che colpiscono lo sport femminile in Italia, ma com’è la situazione all’estero e come ci vede l’Europa? 

“All’estero dobbiamo ripetere la situazione e i dati due o tre volte perché chi ci ascolta non ci crede. La cosa più sorprendente è la quantità di persone che non conoscono la situazione e rimangono sbalordite quando gliela racconti. Non si sa ad esempio di quanto sia militarizzato lo sport italiano. Non si sa che su 45 federazioni sportive i dirigenti donna siano 0 al di là delle promesse del 33% di quota rosa nei consigli direttivi più volte formulate dal Coni. Fuori di qui le cose vanno un po’ meglio. Svezia, Spagna, Slovenia hanno formulato decreti legge per tutelare la pratica sportiva femminile. Detto questo, rimane il fatto che a livello Europeo non c’è coordinamento. Vengono emanate direttive vaghe che non entrano nel merito delle questioni e non vengono applicate. Noi siamo senza dubbio messi peggio di altri, ma non esiste stato in cui vige uguaglianza e parità di genere.

- Come pensi possiamo muoverci efficacemente per ottenere cambiamenti reali?

“Informare. Con Assist stiamo costruendo un percorso dal 2000 e ci siamo accorte che la consapevolezza è l’elemento da cui partire. Diffondere le notizie. Spargere la voce. Far capire che lo sport femminile è bello da seguire, è tecnico, è privo di quell’elemento ossessivo che spesso macchia lo sport maschile. In questo quadro abbiamo lanciato la campagna per portare il calcio femminile su Rai 1. Non ci siamo riuscite. Posso invece dire con fierezza che abbiamo dato il nostro contributo alla recente istituzione degli assegni di maternità. Facciamo lobbing. Pressione ed influenza. Altrove è una pratica normale nei percorsi di conquista dei diritti. Qui sembra che se ti muovi, ti organizzi e protesti sei un rompiscatole. Il Coni ad esempio, uno degli organi più responsabili della situazione, non ci vede tanto di buon occhio”

 

VORREI UN CONI E DUE COPPETTE

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Sul Coni ci sarebbe da aprire un capitolo a parte. Basterà qui elencare tre fatti:

1 – Nella sala d’onore del CONI al Foro Italico, proprio sopra l’emblema del comitato olimpico, troneggia ancora “l’apoteosi del fascismo” dipinto commissionato dal duce a Montanarini. Ciò stupisce solo chi non sa che lo statuto del Coni aveva come finalità, al suo articolo 2: “il miglioramento fisico e morale della razza. Il fatto grave è che lo stesso istituto ha provveduto a modificare il proprio statuto solo nel 1999, 50 anni dopo la caduta del fascismo. Quando si dice al passo con i tempi.

2 – Che le donne in Italia siano discriminate lo ha ammesso finalmente lo stesso Malagò in una recente intervista rilasciata a Lettera Donna. (Lo sport femminile? Il Governo ci dia ascolto!)

Credo che la parola “discriminare” sia un po’ forte, ma il concetto è questo. Il Coni, che fa tante cose, vuole cambiare questa legge, ma il problema è che noi non abbiamo potere legislativo. Per poter cambiare ci serve uno strumento che è il Parlamento e i vari governi che si sono alternati, gliel’assicuro, conoscono questa richiesta a memoria”

Il presidente ha poi correttamente aggiunto che la 91/81 è una parte del problema e servirebbe riformare complessivamente l’impianto normativo riguardante le discipline sportive in Italia:

la sua modifica è fondamentale, ma per cambiare le cose, di sicuro, non è sufficiente. Quello che servirebbe è una cosiddetta legge quadro dove inserirci tante altre cose, per far sì che il mondo dello sport abbia lo spazio adeguato al contesto storico che stiamo vivendo

3 – Ciò che invece Malagò non dice è che il sistema rappresentativo del Coni e delle federazioni sportive è un sistema di potere consolidato che vede ai posti di comando una cricca di brachiosauri legati da relazioni di affari prima che amicali e che risulta quasi impossibile scalzare dal trono a prescindere da avvisi di garanzia, conflitti di interesse, irregolarità elettorali e fallimenti sportivi.

I presidenti hanno in mano potere, cassa e giustizia delle Federazioni e questo fa sì che chi comanda oggi, al 90% lo farà anche domani

Spiega al fatto quotidiano Marzio Innocenti capitano dell’Italia del Rugby ai tempi della prima edizione della coppa del Mondo nell’87: (La casta dei presidenti per sempre).

“Chi comanda ha in mano un sistema per cui alla fine a tutti o quasi arriva qualcosa: un incarico, un torneo da organizzare, una nuova struttura da costruire. Così le risorse non vengono spese per fare il bene del movimento. Mentre a chi si oppone viene fatta terra bruciata intorno”.

A rincarare la dose è Juri Chechi candidato non eletto alla presidenza della federginnastica:

“Zero risultati, calo di tesserati, malcontento diffuso non bastano per rompere col passato. Il mio sfidante era in Federazione da 28 anni, aveva tanti contatti… Io sono arrivato al 48%, è stato un miracolo. Purtroppo non è bastato. Il sistema non permette il cambiamento”

 

SAME SPORT SAME RIGHTS

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Aspettarsi la riforma di un sistema che non è in grado di rinnovare se stesso è semplicemente un paradosso, a maggior ragione riguardo a un tema complesso come quello dello sport femminile. Una spinta possiamo e vogliamo aspettarcela dai presidenti di federazione donne…il problema è che su 45 federazioni sportive, i presidenti donna sono 0.

Il quadro è desolante. Una desolazione proporzionale all’ampiezza del sorriso con cui i vertici del sistema sportivo nazionale salgono sopra il carro dei vincitori. State giù.

Non servono parole o immagini con cui cibar gli ingenui, ma diritti e pratiche di uguaglianza reale e ben sappiamo che non arriveranno dall’alto, ma andranno conquistate dentro e fuori i campi di gioco.