di Davide Drago

E' difficile dire cosa rappresentino ancora nell'immaginario dei popoli le olimpiadi. Oggi sono un variegato ed affascinante spettacolo televisivo e soprattutto un investimento economico di proporzioni assurde.

In realtà le Olimpiadi moderne, nate alla fine dell'Ottocento da un’idea di De Cubertin, avevano come obiettivo quello di recuperare la fratellanza tra le genti e di ristabilire una sorta di riscatto umano, proprio per questo motivo dovevano essere libere dai lacci della politica. In realtà non lo furono mai, in quanto i governi, specie quelli dittatoriali, tentarono sempre di usarle per le proprie strategie.

Caso emblematico è stato quello delle Olimpiadi del 1936. Berlino doveva essere la città dei giochi olimpici già nel 1916, ma la prima guerra mondiale bloccò i lavori di preparazione. Dopo la guerra la Germania - dichiarata ufficialmente la responsabile principale della guerra - fu esclusa dal Comitato Internazionale Olimpico (CIO) e solo nel 1925 fu riammessa.
La Germania era diventata una repubblica democratica e Berlino si candidò, insieme a 12 altre città, nuovamente per ospitare i giochi olimpici nel 1936.

Nel 1931 due città erano rimaste nella competizione: Berlino e Barcellona e il CIO votò con 43 voti a favore di Berlino, contro 16 per Barcellona, con 8 astensioni. Josef Goebbels, il ministro della propaganda del governo di Hitler, aveva capito per primo che i giochi olimpici a Berlino potevano diventare una grande occasione per la Germania nazista per aumentare il suo prestigio internazionale e per far tacere molte critiche interne. Furono stanziate ingenti somme di denaro per stupire il mondo con dei giochi superlativi, mai visti prima. Durante i giochi furono organizzate 3.000 trasmissioni radiofoniche in 40 paesi del mondo, in tutti i continenti: un record assoluto per quegli anni. Anche la televisione fece il suo debutto a Berlino.

Fino a quel momento in nessun paese esistevano regolarmente delle trasmissioni televisive e la tecnologia era ancora in via di sperimentazione, ma nazisti fecero di tutto perché la Germania diventasse il primo paese a rendere possibile di seguire le olimpiadi anche alla televisione. Hitler fece di tutto per far vedere al mondo non solo dei giochi perfetti e spettacolari, ma anche una Germania che sotto la sua guida doveva sembrare un paese pacifico, tollerante e florido.

Le Olimpiadi di Berlino del 1936 erano importanti, perché il mondo era in guerra e Hitler aveva necessità di mettersi in mostra. Non solo voleva promuovere l’immagine del suo governo, ma anche dimostrare la sua teoria che gli ariani erano superiori ai negri e agli ebrei. Egli si è spinto fino a dire che i due gruppi razziali non avrebbero dovuto partecipare ai Giochi Olimpici, ma dopo che le altre nazioni avevano minacciato di boicottare le Olimpiadi, ritirò questa proposta. Infatti, durante i giochi cessò qualsiasi propaganda contro gli ebrei e furono eliminati tutti i cartelli e le scritte discriminatori - per riapparire poco dopo.

Per rassicurare le voci critiche, il governo garantì pubblicamente un libero accesso ai giochi per tutti, anche agli ebrei. Dal punto di vista sportivo queste olimpiadi furono un grande successo per gli atleti tedeschi che conquistarono per la prima volta il primo posto nella classifica delle medaglie, con 33 medaglie d'oro, 26 medaglie d'argento e 30 medaglie di bronzo, davanti agli Stati Uniti e l'Ungheria. 

La grande star di queste olimpiadi fu invece l'americano Jesse Owens che vinse 4 medaglie d'oro (nei 100 m, 200m, nella staffetta 4x100m e nel salto in lungo). Hitler non fu molto contento che Jesse Owens, un atleta afroamericano di colore, fosse in quei giorni al centro dell'attenzione di tutto il mondo, anche perché contraddisse platealmente la sua teoria della superiorità della razza ariana.

James Cleveland Owens è nato il 12 settembre 1913 a Oakville, in Alabama, e sin dalla giovane età aveva dimostrato un talento innato per le discipline sportive. Non possedendo i soldi necessari a comprare costose attrezzature per praticare altri sport diversi dall'atletica leggera, decide di dedicarsi alle discipline della corsa. Negli USA è il periodo caldo della segregazione razziale quando nel 1933 Owens è costretto ad alcune difficili esperienze: vive all'esterno del campus universitario con altri atleti afro-americani, nei viaggi con la squadra sportiva pranza in ristoranti per soli neri.

Il suo nome è legato a doppio filo con la storia per le circostanze che lo hanno visto campione e atleta-simbolo delle Olimpiadi di Berlino del 1936, e protagonista insieme a Hitler di un famoso episodio. Quei giochi sono rimasti nella storia proprio per la contrapposizione tra due “mondi”: da un lato uno strapotere eccessivo e megalomane, con la necessità ossessiva di far vedere a tutti la supremazia della razza ariana e della Germania nazista, dall’altro un ragazzo nero di 23 anni, proveniente da una famiglia povera americana del Sud, durante gli anni difficili della depressione degli Stati Uniti.

Hitler cercò in tutti i modi di sfruttare l’eco di un evento sportivo magnifico come l’olimpiade per fare propaganda, ma non fece bene i conti con quel ragazzo che eclissò il Führer e che legherà il suo nome per sempre allo sport e alla narrazione dell’Olimpiade del 1936 a Berlino.

Jesse Owens vinse i 100 metri, i 200 metri, la staffetta 4×100 e il salto in lungo. Quest’ultimo fu il successo che lo fece entrare nella storia. Jesse si trovava di fronte all’ultimo salto valido per accedere alla finale, quando qualcuno si avvicinò alle sue spalle. Era Luz, l’atleta tedesco di cui tutti attendevano la vittoria, che cercava di esprimersi con quel poco di inglese imparato a scuola. Aveva riconosciuto le sue potenzialità meravigliosamente espresse nelle gare precedenti. «Uno come te dovrebbe essere in grado di qualificarsi ad occhi chiusi», disse, poi gli consigliò il punto di stacco ideale per effettuare un salto valido indicandolo con un fazzoletto bianco posato accanto alla pedana. Long accompagnò il gesto con un’occhiata di intesa che non si aspettava di essere delusa, e la conferma non tardò. Jesse non solo si qualificò per la finale, ma superò lo stesso Luz saltando ben 8.60 m contro i 7.87 del tedesco e vinse così il suo secondo titolo.

 

Fu uno scacco matto per Hitler che riponeva ogni speranza in Long per un trionfo nell’atletica leggera, disciplina nella quale la sua fucina di atleti aveva dimostrato una certa carenza. Di certo, il Führer non poteva sapere che era stata proprio la sua “scommessa vincente” a tradirlo fraternizzando con il rivale.

I due atleti diventarono amici, ma qualche anno dopo Luz fu richiamato alle armi dopo essere stato a lungo impiegato in un ufficio sportivo a Berlino. Durante un contrattacco americano, nel luglio del 1943, venne colpito a morte nei pressi dell’aeroporto di Santo Pietro in Sicilia. Aveva solo trent’anni, una piccola storia che sbiadiva nell’ombra di quella immortale di Jesse. Cadde allo stesso modo di molti altri soldati, senza rumore, Luz Long morì nel silenzio, venne gettato in una fossa comune diventata poi un mausoleo ai caduti di guerra. Quell’uomo che pochi anni prima doveva essere il simbolo della potenza tedesca fu subito dimenticato. Mentre Jesse, l’eroe di quell’Olimpiade, non diede mai molta importanza alle sue medaglie che neppure in patria gli vennero riconosciute con il rispetto che meritavano. 

Alla luce di quanto è accaduto, quello che dovrebbe emergere ed esserci di insegnamento, non è tanto la solidarietà tra due atleti che nonostante la competizione sono riusciti a creare un rapporto di amicizia e complicità, ma la forza di Luz, capace di andare contro gli stereotipi voluti dal momento storico. Nonostante la propaganda e nonostante si trovasse in una situazione favorevole per i media del tempo, l'atleta tedesco, ariano, emblema della perfezione, ha saputo riconoscere nel suo avversario le doti utili a raggiungere l'obiettivo. Contro ogni tentativo di discriminazione messo in atto dal regime di allora, questo è un chiaro esempio di come si possa, se si vuole, destrutturare dei paradigmi imposti da una società che ci vuole gli uni contro gli altri.

Quel semplice gesto fatto nell'ombra, quel piccolo segnale di complicità e di umanità scambiato tra i due rivali, dimostra come già allora si sia cercato di gettare le basi per un mondo che vuole andare oltre i dettami imposti dall'alto.