di Davide Drago
Il rapporto tra il potere e il mondo ultras è stato quasi sempre caratterizzato da uno scontro duro. L’attuale società della sicurezza contemporanea -come afferma il filosofo Agamben – si serve delle procedure d’emergenza: esse «mirano a una minaccia immediata e reale, che occorre eliminare sospendendo per un tempo limitato le garanzie della legge; le «ragioni di sicurezza» delle quali si parla oggi costituiscono al contrario una tecnica di governo normale e permanente» (Agamben 2014).
Come si fa a governare in questo modo? Accanto alla coercizione, al comando e alla repressione c’è un aspetto del potere che possiamo pensare come il suo risvolto osceno, la sua condizione di possibilità: quello di condizionare, di sedurre e di agire sulle condotte. In questa luce il potere «è un insieme strutturato di azioni che verte su azioni possibili» (Foucault 1989). Come? Disponendo le condizioni perché i governati scelgano liberamente il comportamento o la condotta più appropriata alla luce dei disegni di chi regge politicamente la società. La coercizione è così soltanto il secondo momento di una strategia che mira innanzitutto all’induzione, al condizionamento e al controllo del libero arbitrio. Accanto al potere che si esercita esplicitamente attraverso la norma giuridica, esiste dunque un potere «soft» che conduce le condotte, situandosi al livello del flusso di desideri e di convinzioni canalizzato dalla rete di comunicazione mediatica.
Questa nuova modalità del potere di agire è cominciata, nel mondo del calcio, dopo la famosa partita del 2 febbraio 2007 tra Catania e Palermo. Derby infuocato, in cui Filippo Raciti, l'allora ispettore capo della polizia, ha persona la vita, secondo delle ricostruzioni approssimative, da parte di due tifosi catanesi. Da quel momento il potere all’interno degli stadi inizia a testare un nuovo modo di reprimere. Prima con la tessera del tifoso nel 2010 targata Maroni e poi con il decreto stadi del 2014, con il quale vengono introdotte delle norme che non fanno altro che svuotare gli stadi: tessera, daspo, blocco delle trasferte, ecc.
Da quel 2 febbraio 2007 si è sviluppata una fase nuova, quella della repressione che - ad esempio attraverso le misure restrittive della tessera del tifoso - ha sì ridotto il numero degli incidenti all’interno del perimetro degli stadi, ma al prezzo di porre un grosso limite alla libertà di tutti gli spettatori normali, incidendo soprattutto sulla possibilità, da parte delle famiglie, di pensare allo stadio come a un luogo di svago in cui trascorrere del tempo libero assieme ai propri figli.
Chi ha in mano il potere, non ha mai nascosto la propria avversione verso il mondo ultras. Spesso sono stati etichettati come “bestie”, l’ultima affermazione del genere è stata fatta dalla sindaca Raggi in diretta tv in occasione della partita tra la Lazio e l’Eintracht.
Dire che il mondo degli ultras ha sempre avuto un rapporto d’odio nei confronti del potere costituito è azzardare un’affermazione in maniera molto semplicistica. Sicuramente gli ultras non hanno mai avuto un buon rapporto con chi in questi anni li ha più volte e in maniera spesso anche violenta repressi. Non vogliamo stare qui a fare la conta, come in una battaglia, di quanti sono stati i morti da una parte e dall’altra e fare una divisione in buoni e cattivi. Il potere ha sempre utilizzato lo stadio come strumento sia di controllo sociale, ma anche per sperimentare nuove modalità repressive da utilizzare successivamente nella società!
In questi giorni accade il paradosso.
Mentre nelle televisioni impazzano le immagini di un carabiniere insultato e inseguito da alcuni ultras della Lazio a Roma, prima della partita con l'Eintracht di Europa League, “costretto” ad un certo punto ad estrarre la pistola per poi scappare, il ministro dell’interno entra a gamba tesa nel mondo del calcio imponendo nel decreto sicurezza nuove politiche sul daspo, entrando così di diritto nella storia come tutti gli altri ministri dell’interno. Poi sveste i panni da burocrate per trasformarsi nel tifoso medio italiano che inizia a lamentarsi della sua squadra del cuore ed infine dopo aver osannato gli ultras milanesi presenti in Grecia dopo l’uscita dall’Europa League, va a fare visita alla festa del curva sud del Milan.
Degli ultras che fanno entrare ad una propria festa il ministro dell’interno, quello che schiaccia il pulsante sulla macchina della repressione. Mah!
All’arrivo alla festa lo aspetta un'accoglienza quasi da star, ed uno dei volti più noti e carismatici del tifo rossonero, a fargli da guida: Luca Lucci.
Con quest’ultimo il ministro dell’Interno sembra avere una grande familiarità. Peccato che Lucci abbia una fedina penale carica di precedenti, alcuni piuttosto gravi, e legami inquietanti! Lucci è stato infatti arrestato solo pochi mesi fa in un’inchiesta per traffico di droga, con telecamere degli investigatori sistemate fuori dalla sede degli ultrà rossoneri a Sesto San Giovanni: per quella vicenda, Lucci ha patteggiato una pena di un anno e mezzo di reclusione. Quei filmati raccontano un nuovo aspetto del legame tra ultrà e criminalità comune, altri aspetti sono balzati agli onori della cronaca dopo la trasmissione di Report sulla Juventus.
A destare le polemiche è stata la foto che ha ritratto Salvini mentre stringe la mano a Lucci. Il ministro però non ha voluto far cadere lì la questione, l’avrebbe potuto fare e forse non si sarebbe alzato tutto questo polverone, ma ha voluto subito dichiarare: «Io stesso sono indagato. Sono un indagato in mezzo ad altri indagati». Lui stesso ha poi aggiunto: «Io sono per il tifo corretto, colorato e colorito. Episodi di violenza non mi appartengono e non appartengono a nessuno sportivo. Questi tifosi sono persone perbene, pacifiche, tranquille. Loro portano colore con un coro, un tamburo, una bandiera. La violenza è un'altra cosa».
Da tifoso, e soprattutto da persona che per anni ha frequentato una curva, questa foto mi ha fatto davvero incazzare, ma forse è rappresentativa della crisi del movimento ultras. Una crisi dovuta dagli atti politici compiuti da persone amiche di Salvini, ma anche dalle sue stesse politiche. Nel frattempo però, rappresenta quella che è oggi la crisi della politica italiana.
Salvini, non contento, vede una correlazione, un filo conduttore, tra l'atteggiamento dell'Unione Europea verso l'Italia e quello che la Uefa dimostra nei confronti del Milan: il governo ha dovuto fare marcia indietro sulla manovra, proprio mentre il Milan veniva eliminato dall'Olympiacos in Europa League e veniva sanzionato per le violazioni sul Fair Play Finanziario con una multa da 12 milioni e una rosa ridotta a 21 giocatori. «Mi sembra - la stoccata di Salvini - che in Europa esistano due pesi e due misure a tutti i livelli. L'Europa non ama l'Italia e in questo caso le squadre italiane. Mi sembra che sul Milan e i club italiani ci sia un'attenzione e un accanimento particolare. Qualcuno ha speso centinaia di milioni di euro, questa sentenza mi pare eccessiva».
Insomma, ci troviamo con un paese al collasso su diversi fronti, con un ministro dell'Interno che pare più concentrato sui risultati calcistici che sui veri problemi che affliggono la penisola. La priorità sembrano i consensi accumulati a suon di “like” sui social media, postando foto il più delle volte imbarazzanti, come quella in questione, e proponendo dei parallelismi che fanno accapponare la pelle, mescolando in malo modo questioni politiche e calcistiche.
Ma forse è questo che ci meritiamo! In fondo all'italiano medio basta avere garantita la possibilità di “dire la propria” su una piattaforma virtuale, meglio se può farlo lasciando il cervello sul comodino!