A qualcuno succede a 6 anni, a qualcuno a 4, a me è successo a 3 anni. Cosa? Riuscire ad andare in bicicletta senza rotelle.
Tuo padre, tuo zio o magari tuo nonno, un giorno si è avvicinato minaccioso alla tua bicicletta a 4 ruote, con uno strumento che solo in seguito imparerai a chiamare chiave inglese. Una chiave da 12, normalmente. Si è chinato sul tuo mezzo, e con la faccia di chi ti sta per buttare in acqua senza preavviso, smonta le due ruote laterali, quelle più piccole. Panico, ginocchia sbucciate e urla lancinanti, normalmente in quest’ordine, seguiranno di li a poco. Passati questi primi momenti, che chiameremo di incertezza, seguiranno attimi di stupore incontenibile. Quello che Einstein disse solo in età adulta: “La vita è come la bicicletta, se vuoi restare in equilibrio devi muoverti”, tu lo scopri nei tuoi primi anni di vita, praticamente sei un genio!
Quello stupore provato in quei primi metri fatti serpeggiando sulle sole due ruote si ripete, magari inconsciamente, ogni volta che sali in bicicletta. Forse è anche per questo che il ciclismo è così popolare, è lo sport della sorpresa, è come se quel rito di iniziazione si ripetesse all’infinito, sullo Zoncolan come sulla piazzetta di una qualsiasi periferia d’Italia.
L’edizione del Giro appena conclusa ha, nello stupore, uno dei suoi aspetti più affascinati. Quattro atleti, ciascuno a suo modo, pronosticato o meno, l’hanno reso un Giro senza rotelle.
Nairo Quintana, lineamenti da indio e una vita vissuta in Colombia abbondantemente oltre i 2000 metri di quota. La maglia rosa 2014 è arrivato al Giro da grande favorito, dopo il secondo posto al Tour de France dello scorso anno sembrava predestinato ad arrivare a Trieste sul gradino più alto del podio. Ma la storia di questo colombiano dall’espressione imperscrutabile (così l’hanno apostrofato dall’inizio alla fine i commentatori RAI) è quella di un ciclismo quasi d’altri tempi. Un’infanzia che ha i tratti della leggenda: all’età di 3 anni viene dato per spacciato dai medici, la madre si affida ad una “sciamana” che lo cura con erbe medicinali e Nairo torna così alla vita. Inizia ad andare in bici per coprire i 15 km che lo separano dalla sua scuola, e scopre che le due ruote potrebbero essere qualcosa di più che un semplice mezzo di trasporto. La sua storia sportiva, e non solo quella, rischia di finire nel 2008, quando viene investito da un’auto e rimane in coma per diversi giorni. Sei anni dopo, vincerà da trionfatore il giro d’Italia 2014.
Scendiamo al secondo gradino del podio: Rigoberto Uran Uran, colombiano anche lui, solo di qualche anno più giovane di Quintana. Personaggio solare e dalla battuta pronta con una vita alle spalle tutt’altro che facile. Nel 2001 il padre rimane vittima di uno scontro a fuoco tra narcos e muore all’età di 52 anni, Rigoberto inforca la bici per proseguirne il lavoro e sostenere la famiglia. Così a 14 anni gira Urrao, la sua città natale che si trova a pochi chilometri da Medellin, in bici, per vendere i biglietti della lotteria. Anche nel suo caso il ciclismo diventa un mezzo per uscire dalla povertà e passa dalle prime vittorie su pista alla bici da strada. Emigrato in Europa è vittima di due cadute rovinose che sembrano bloccarne la carriera, ma ancora una volta stupisce tutti e diventa uno dei “colombiani terribili” che spadroneggiano lungo le strade del Giro 2014.
Terzo gradino del podio: Fabio Aru. Le speranze del ciclismo italiano in quest’edizione della corsa rosa erano per lo più affidate a Michele Scarponi. Aru, compagno di squadra e (ex) gregario del marchigiano, era nella categoria “giovani promettenti al servizio del capitano”. Ma ad un certo punto della storia arriva il nonno, o il padre, o lo zio, e via le rotelle: tappa di Montecassino, Michele Scarponi cade riportando traumi che ne condizioneranno la gara fino al ritiro. Fabio Aru si ritrova capitano dell’Astana e passa nella categoria “giovani promettenti alla prova dei fatti”. E così i bar sardi si riempiono di tifosi incollati alla tv, e i tavoli dei bar sardi si riempiono di bottiglie di Ichnusa dalle tinte rosa. Il ventiquattrenne Aru vince a Montecampione, arriva secondo dietro a Nairo Quintana nella cronoscalata del Monte Grappa e diventa in 20 giorni una realtà del ciclismo nostrano.
Scendiamo clamorosamente dal podio. Arriviamo alla centotrentaseiesima posizione, a 4 ore, 27 minuti e 29 secondi da Nairo Quintana, per trovare il nostro quarto uomo senza rotelle. In un precedente articolo ho parlato “dell’operazione nostalgia” messa in piedi dalla Gazzetta dello Sport con la conclusione del Giro D’Italia a Trieste. Frecce tricolori e retorica d’altri tempi “per celebrare i 60 anni del ricongiungimento della città all’Italia”. In barba alla storia ed ai conflitti di quelle terre di confine. Ma il ciclismo, l’abbiamo detto, ha la sorpresa sempre a portata di mano, una sorpresa spesso ricca di contraddizioni. Per l’arrivo di Trieste tutti aspettano il favorito Nacer Bouhanni, si spera in Nizzolo e Ferrari, si ipotizza l’azione di un finisseur. Il circuito cittadino che si snoda tra le migliaia di persone che a Trieste riempiono i bordi delle strade arriva alla conclusione: parte la volata. Sulla destra un ciclista con il casco bianco fa lo sprint della vita e passa il traguardo davanti a tutti, chi è? Luka Mezgec, un ciclista sloveno! Non è l’opera di un regista visionario, sembra piuttosto che lo sport, a suo modo, abbia voluto mettersi di mezzo “sulla” storia.
Quintana, Uran, Aru, Mezgec, 4 personaggi profondamente diversi tra loro che con la bicicletta hanno costruito la loro storia entrando nella storia. Gli attimi di stupore che gli eventi sportivi riescono ancora a regalarci vanno carpiti tra le righe, rubati ai commentatori dalla retorica spicciola. Questo ci aiuterà a restare sempre dalla parte di chi, anche con archi e frecce, è pronto a lottare contro un utilizzo speculativo dello sport.
In questo momento la repressione, fuori e dentro gli eventi sportivi, sta dilagando in Italia come in Brasile. Dopo i “fatti dello Zoncolan” anche nel ciclismo si inizia a parlare di Daspo per i tifosi. Noi resteremo con la faccia meravigliata ed i pugni stretti di chi da pochi secondi ha imparato a tenersi in piedi senza rotelle. Pronti a difendere il nostro diritto allo stupore!