Una fonte anonima con in mano 11.5 milioni di documenti appartenenti alla agenzia legale Mossack Fonseca. Nasce così il caso Panama Papers. 2,6 terabyte di dati consegnati al giornale tedesco Suddeutsche Zeitung. Condivisi per tramite della “consortium of investigative journalists” con le testate di mezzo mondo e pubblicati in quello che Edward Snodew definisce il più grande leak della storia.
In soldoni è la scoperta dell’acqua calda. Giri di affari ambigui dissimulati in società off-shore nei più importanti paradisi fiscali del pianeta. Da un lato la possibilità, a volte legale, di pagare meno tasse sopra i profitti delle proprie attività. Dall’altro l’opportunità di nascondere e riciclare ricavi sporchi. Negli stessi documenti consegnati ai media si legge che “il 95% delle attività della Fonseca, coincide con la creazione e la vendita di sistemi per evadere le tasse”. I soldi di mazzette, corruzione e furti più o meno istituzionalizzati finiscono qui, attirati da norme economiche ridicole e dalla riservatezza che agenzie come la Fonseca garantiscono. Per questo i nomi, quando escono, fanno molto rumore.
I NOMI
Presente quel particolare sapore di indignazione quando ti raccontano che l’1% della popolazione mondiale detiene la stessa ricchezza del restante 99%? Molti dei volti di queste persone galleggiano negli archivi della Fonseca assieme ai soldi che più o meno illecitamente hanno sottratto alle economie dei propri paesi. C’è le nazionalista Marine Le Pen con padre e cricca al seguito. C’è la creatura mitologica conosciuta con il nome di Vladimir Putin. Ci sono una decina di capi di stato e di governo fra cui: Gunlaugsson, dimissionario primo ministro islandese, il britannico Cameron, l’ucraino Poroshenko, l’argentino Macri. E poi imprenditori, camorristi, palazzinari, trafficanti, star del cinema e gruppi finanziari come l’UBS o l’Unicredit. Più di 800 gli italiani coinvolti. Da Montezemolo a Barbara D’Urso. Il petroliere Perrucci, lo stilista Valentino, i mafiosi Angelo Zito, tesoriere del clan Brancaccio e Vito Palazzolo che ha riciclato per anni i tesori di Riina e Provenzano.
C’è dentro fino al collo il mondo dello sport . Nei carteggi della Fonseca compaiono nomi illustri. Da Messi a Daniel Fonseca, da Trulli ad Ivan Zamorano, passando per il patron del Boca, Angelici e quello dell’Inter, Eric Thoir. Ma più in alto dei semplici calciatori, più in alto dei dirigenti e dei presidenti, ci sono i signori che lo sport lo governano. Michel Platini, ad esempio. L’ex presidente UEFA, sospeso per questioni legate a corruzione, ha recentemente ammesso il coinvolgimento con l’off-shore panamense. Pedro Damiani, membro del comitato etico che cacciò Blatter e “Michel le roi” sembra essere legato a Panama da un castello di oltre 200 società. Accanto ai loro nomi, in fondo alla lista, spunta quello di Gianni Infantino. E qui occorre fermarsi un attimo e porre d’obbligo una domanda.
CHI MINCHIA E’ GIANNI INFANTINO?
E’ in effetti passata così, con i riflettori accesi solo per metà, la fine formale dell’impero Blatter dopo 17 anni di governo. A prendere il suo posto a capo della "federation International de futboll association" è Gianni Infantino. (Briga 1970)
Avvocato svizzero di origini italiane, Infantino lavora per il centro internazionale di studi sportivi fino al 2000, anno che segna l’inizio del suo sodalizio con l’Uefa. Nel 2004 è a capo degli affari legali e delle licenze per club. Nel 2007 è promosso vice segretario generale e nel 2009 diviene segretario anche grazie allo stretto rapporto di amicizia e collaborazione che intrattiene con Michel Platini. E’ proprio a causa delle indagini che travolgono l’ex pallone d’oro che Gianni decide di cambiare casa e nel 2015, dopo le dimissioni di Blatter per lo scandalo corruzione (Ladròn. Breve storia di un re dimissionario) , si candida alla sua successione. Il 26 Febbraio 2016, sbaragliati uno dopo l’altro gli sfidanti, Infantino diviene presidente della più potente e corrotta istituzione sportiva internazionale.
“ Riformerò la Fifa con lungimiranza e trasparenza. Lavorerò su buona governance, democrazia e partecipazione”.
Esordisce così il presidente Gianni. La sfida è quella di risollevare le sorti di un sistema calcio allo sbando. Ma a sostenerlo arriva l’ambiguo augurio del suo predecessore Sepp:
“ Ha tutte le carte in regola per continuare il mio lavoro”. Odore di guai.
I FATTI
Non passano nemmeno due mesi che sulla testa del riformatore FIFA piomba lo scandalo Panama Papers. Si parla del suo ruolo in alcuni accordi stretti nel periodo in cui era a capo dei servizi legali Uefa. Accordi che dimostrerebbero per la prima volta il coinvolgimento della Uefa negli scandali che hanno travolto la FIFA. I contratti riguardano i diritti di trasmissione di Coppa Uefa, Champions e coppa delle Coppe. La compagnia argentina Cross Trading acquista i diritti dalla Team, partner UEFA, per poi rivenderli all’ecuadoregna Telemazonas a prezzi maggiorati di 3 o 4 volte. La Cross Trading è una sussidiaria della compagnia Full Play. Ai suoi vertici sedeva un certo Hugo Jinkis che oggi, assieme al figlio Mariano, è costretto ai domiciliari per il pagamento di mazzette milionarie a dirigenti FIFA. La firma che lega la Cross Trading alla Uefa è quella di Infantino.
SPORT DI POCHI SPORT DI TUTTI
Il problema è che questi fatti te li raccontano così, come affari di calligrafia, inglesismi, tizi loschi e spiagge lontane. Una narrazione che mette fuori fuoco quel legame fra tasche piene e tasche vuote che è il protagonista indiscusso dello show. Il vero scandalo è che una piccola percentuale del patrimonio rubato dai signori dello sport basterebbe a risollevare le sorti dei sistemi sportivi di interi paesi. Costi, impiantistica, investimenti, accessibilità. Sono storie come questa ad indicare la zona sottile in cui le figure dei governanti e dei ladri si confondono. Il loro furto è sempre ai nostri danni. A confermarlo è lo stesso presidente Fifa che di recente ha chiesto a 41 dirigenti americani accusati di corruzione un risarcimento di 190 milioni di dollari.
“ Hanno abusato della loro posizione alla Fifa. I soldi che hanno intascato appartenevano all’intero sistema calcio ed erano fondamentali per il suo sviluppo e la sua promozione”.
Parola di Gianni Infantino.