di Davide Drago
Sono stati due giorni molto caldi per il calcio europeo. Due notizie, lasciando perdere il romanzo CR7, hanno scosso in maniera molto forte l’opinione pubblica. Barcellona e Afro-Napoli hanno deciso di allontanare due persone dalle rispettive società. Mettere a fianco questi due nomi sembra quasi assurdo e paradossale e anche la modalità dell’allontanamento è abbastanza diversa, ma il motivo è lo stesso: il razzismo. Anche il West Ham, squadra londinese, ha deciso di sospendere un proprio allenatore.
Partiamo dalla realtà che amiamo di più e che è più vicina alla nostra filosofia: l’Afro-Napoli. La società partenopea ha deciso di allontanare la capitana della squadra femminile Titty Astarita. La motivazione è avvenuta dopo la scelta di quest’ultima di candidarsi alle elezioni comunali di Marano con la lista “Noi con Salvini”. L'Afro-Napoli United, come tutte le altre realtà popolari e indipendenti italiane, non è una squadra come le altre, nessuno ne ha fatto mai mistero. Nasce come progetto di inclusione e integrazione per dare voce a un'Italia multietnica che già esiste e che quotidianamente è oggetto di discriminazioni e razzismo, vedendosi negare i più basilari diritti.
La narrazione che sta emergendo dai giornali locali e nazionali è stata molto semplicistica, finalizzata al sensazionalismo. Gli argomenti utilizzati sono stati i soliti: «ti definisci una realtà accogliente e allontani le persone». Lo sport è da sempre terreno d'inclusione. Un suprematista bianco non sarebbe compatibile con una squadra che si batte per i diritti civili. Lo sport per noi è rappresentato dall'afroamericano Jesse Owens che conquista quattro medaglie d'oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936, facendo non solo infuriare Adolf Hitler, ma denunciando la condizione di segregazione che la sua gente viveva negli Stati Uniti. Lo sport è il pugno alzato di Tommie Smith e John Carlos sul podio dei 200 metri alle Olimpiadi a Città del Messico nel 1968. Lo sport sono quelle centinaia di realtà popolari e indipendenti in Italia, ma non solo, che giorno dopo giorno praticano e raccontato un altro modo di concepire lo sport. Linguaggio universale e accessibilità per tutti sono due pilastri fondamentali per la pratica sportiva. Proprio per questi motivi il mondo dello sport non può essere tollerante con i razzisti, con gli intolleranti. La società dell’Afro-Napoli non si è sottratta al confronto con i media e ha anche accolto l’appello della Federazione Italiana Giuoco Calcio e ha chiesto, con un comunicato ufficiale del presidente Gargiulo, un nuovo confronto con la calciatrice e con la squadra femminile. Per dovere di cronaca da parecchio tempo la capitana della squadra è stata invitata a fare un passo indietro sulla sua scelta , soprattutto perché dopo un anno di partecipazione alle vicende dell'Afro-Napoli, in un ruolo chiave di rappresentanza, le dovrebbe essere stato chiaro che quella candidatura la poneva automaticamente fuori dal perimetro dell'idee-guida che sono alla base del sodalizio afro-napoletano. Il presidente Gargiulo ribadisce che «l’Afro-Napoli United è portatrice di valori umani ed universali, noti e chiari a tutti e coerenti negli anni ed è solo e unicamente in virtù di questo che abbiamo chiesto a Titty Astarita di chiarire una situazione che ci ha creato un forte imbarazzo e dispiacere ma non abbiamo mai, ribadisco mai cacciato alcun tesserato. Crediamo che la contraddizione forte stia nella persona di Titty Astarita per le scelte che opera e che sono contrastanti tra loro, e non nella nostra squadra che ha come principio fondante l’antirazzismo e valori in contrasto evidente con quelli degli schieramenti politici legati a Salvini e seguiti dalla stessa Astarita». «Tuttavia, siamo consapevoli che l’accaduto – prosegue Gargiulo - meritava una più attenta valutazione. Nel calcio accade che si agisca d’impulso, non deve però accadere che non ci si chiarisca e che ragioni di altro tipo prevalgano sulla condivisione dei valori dello sport e della solidarietà. Perciò stiamo ancora aspettando Titty Astarita e la squadra femminile che sin da venerdì scorso sono state invitate a un confronto, e che ora chiediamo avvenga alla presenza del Comitato Regionale della FIGC, per trovare una soluzione che vada bene per tutti».
Quando si parla di determinati valori, che sia una grande o una piccola squadra, la coerenza deve essere un pilastro fondamentale. Ed è qui che scatta il parallelismo con il più “blasonato” Barcellona. Ronaldinho in questi giorni di campagna elettorale in vista del ballottaggio per le presidenziali in Brasile, si è espresso in maniera netta a favore di Bolsonaro. Quest’ultimo, candidato militarista, misogino, omofobo, razzista, fascista e adoratore della dittatura è andato vicino alla vittoria al primo turno alle presidenziali brasiliane con quasi il 46% delle preferenze. L’endorsement di Ronaldinho nei confronti di Bolsonaro ha imbarazzato la società blaugrana. I dirigenti del Barcellona hanno subito preso le distanze dalle parole dell’ex calciatore e hanno sottolineato che la politica e le idee del probabile futuro presidente brasiliano sono ben lontane dai valori in cui si fonda la società. Proprio per questo, i dirigenti del club hanno di fatto tolto all’ex campione brasiliano lo status di ambasciatore, riducendo la sua presenza negli eventi istituzionali sponsorizzati dalla squadra o in partite amichevoli di beneficienza. Il club è stato da sempre impegnato nel campo della difesa dei diritti umani, anche in stretta collaborazione con l’Unicef, e per questo si è dichiarato del tutto contrario a qualsiasi politica totalitaria e a chiunque mini la difesa dei più elementari diritti. Chi decide di stare con un razzista, con un misogino non può rappresentare determinati valori. La scelta della società la definirei “a metà”: l’ex campione non è stato del tutto allontanato, forse perché in ballo entrano quegli interessi economici che ormai pervadono le squadre di calcio a certi livelli. Oltre Ronaldinho anche altri nomi noti del calcio brasiliano come Cafù e Rivaldo hanno manifestato la loro vicinanza a Bolsonaro.
Anche il West Ham ha preso una scelta forte come quella dell'Afro-Napoli, infatti la società ha temporaneamente sospeso l'allenatore della squadra under 18, Mark Phillips, per aver partecipato sabato scorso ad una marcia del D-FLA (Democratic Football Lads Alliance). Le origini della D-FLA, allora solo FLA, risalgono al 2017 quando un gruppo di tifosi del Totthenam chiamò alla mobilitazione tutti gli ultras inglesi contro tutti gli estremismi in seguito agli attentati di Londra rivendicati dall’Isis. Ad oggi, pur rimanendo formalmente contro tutti gli estremismi, l’alleanza si colloca sempre più nettamente nell’ambito dell’estrema destra. La manifestazione di sabato del D-FLA non ha avuto il risultato sperato dagli organizzatori, grazie alla caparbietà di migliaia di antifascisti che hanno impedito con ogni mezzo a fascisti e razzisti la possibilità di marciare per le strade londinesi.
La società del Wast Ham ha motivato la sospensione dichiarando che da sempre la squadra e l'ambiente sono stati riconosciuti per i propri valori di accoglienza e inclusività a prescindere da colore della pelle e orientamenti religiosi o sessuali.
Qualcosa nel modo del calcio, anche ad alti livelli, pare si stia iniziando a muovere. Quando vengono intaccati i valori chiari e basilari su cui si fondano le società sportive, non si può non essere che decisi nelle scelte. La Fifa, la Uefa e tutte le organizzazioni calcistiche mondiali promuovono il valore dell'antirazzismo, ma spesso purtroppo soltanto a parole. Il Barcellona è stato probabilmente spinto da interessi di natura economica, ma squadre che hanno il valore dell'antirazzismo nel Dna, come l'Afro-Napoli, dovrebbero essere esempi da seguire. Dovremmo forse smettere di meravigliarci e continuare a combattere per far si che razzismo, fascismo e sessismo non entrino più nei nostri stadi.