Quasi un anno fa, proprio su questo blog, avevamo raccontato della partecipazione alla “rivoluzione egiziana” di numerosi tifosi di calcio. Tra loro, i più attivi erano gli ultrà e qualche giocatore dell’Al Ahly de Il Cairo, la squadra egiziana più blasonata (36 scudetti vinti). Dopo un anno, nonostante Mubarak era stato costretto a dimettersi, è arrivata la vendetta.
Infatti, pochi giorni fa, al termine della partita di campionato tra l’El Masry di Port Said e l’Al Ahly, si è scatenata una vera e propria caccia all’uomo ai danni dei tifosi e dei calciatori della squadra della capitale, che ha provocato 74 morti e alcune centinaia di feriti (ma qualcuno parla si almeno mille). “Il peggior disastro nel calcio egiziano”. Alcuni giornali hanno scritto che all’origine di questa carneficina vi fossero “motivi calcistici”, uno scontro tra “tifoserie”, una rivalità calcistica sfociata in guerra. Insomma, i soliti ultrà. Invece questa volta la violenza tra tifoserie sembra entrarci davvero poco. La partita era finita 3-1 a vantaggio della squadra di casa, l’El Masry. Nessun episodio contestato nei 90 minuti (durante i quali, qualche oggetto era volato contro la curva dei tifosi dell’Al Ahly e lo scoppio di petardi aveva obbligato l’arbitro a sospendere la partita per qualche minuto). Nessun problema di classifica, visto che l’Al Ahly era al comando con 61 punti, e l’El Masry era solo settima con 43. D’altra parte, la tifoseria della squadra di Port Said non si era resa responsabile di episodi di particolare violenza in passato (a novembre era stata punita con una partita a porte chiuse per lancio di bottiglie plastica e sassi nella partita contro lo Smouha). Insomma, i motivi della rissa sanguinaria scattata al termine della partita sono essenzialmente politici. Due gli accusati: i sostenitori dell’ex premier Mubarak e la polizia.
I primi si sarebbero infiltrati tra i tifosi dell’El Masry (quasi 15mila); i secondi (almeno tremila) non avrebbero opposto alcuna resistenza alle violenze in campo, per poi prendersela con i tifosi dell’Al Ahly che erano riusciti ad allontanarsi dallo stadio. Le ricostruzioni più accreditate, sottolineano poi che “curiosamente” qualcuno aveva lasciato aperti i cancelli della curva dei tifosi dell’El Masry, permettendo così l’accesso al campo di gioco, e invece chiuso i cancelli della curva dove stavano i tifosi dell’Al Ahly e che davano direttamente sulla strada, impedendo così una loro possibile fuga. Tutti fattori che fanno ritenere che la carneficina fosse pianificata. E poi anche la data non era causale: l’anno scorso, durante quella che è stata definita la “battaglia dei cammelli”, in cui persero la vita 11 manifestanti, nelle strade de Il Cairo si erano messi in evidenza, a difesa di chi protestava e contro la brutalità della polizia speciale, i tifosi dell’Ah Ahly e anche dello Zamalek, l’altra squadra della capitale, che in quell’occasione avevano messo da parte la loro storica rivalità.
La risposta dei tifosi dell’Al Ahly all’eccidio di Port Said non si è fatta attendere. Appena rientrati a Il Cairo, affiancati nuovamente dai tifosi dello Zamalek, sono andati direttamente a piazza Tahrir per manifestare la propria rabbia contro il nuovo regime al potere in Egitto, che sembra avere ancora molti legami con il passato Mubarak. L’obiettivo principale è stato il ministero dell’Interno. Ma se a Port Said la polizia era stata inerme, a Il Cairo si è dimostrata particolarmente violenta, anche per l’utilizzo indiscriminato di pallottole di gomma e di gas lacrimogeni particolarmente potenti, di fabbricazione Usa. In due giorni di scontri, tra i manifestanti si registrano almeno due morti, decine gli arrestati, oltre 1.500 tra feriti e intossicati. La protesta finora qualcosa ha ottenuto: la dichiarazione di tre giorni di lutto nazionale, l’apertura di un’inchiesta, le dimissioni di qualche pezzo grosso della Federcalcio, la sospensione del campionato a tempo indeterminato.
Ma per i tifosi e gli attivisti non basta. Vogliono le dimissioni del maresciallo Tantawi, capo del Consiglio superiore delle forze armate, al potere da un anno. Intanto, diversi giocatori dell’Ah Ahly e della nazionale (Treika, Barakat, Motaeb), che a Porto Said si sono salvati solo per l’intervento degli elicotteri, hanno annunciato di non voler più giocare. Perché in fondo, giocare per “questo” Egitto forse non vale proprio la pena.