In un battibaleno, 104 anni di storia calcistica padovana e una parte importante della storia del calcio in Italia è scomparsa. Con la fine per collasso da debiti del Calcio Padova scompare un pezzo di storia della città e a poco serve il balletto di incontri di questi giorni di nuovi imprenditori con il Sindaco Bitonci per garantire la presenza di una nuova società recuperata dal mucchietto di cocci lasciato che possa partecipare al campionato di serie D – previo consenso della Figc – a nascondere la cesura prodotta nella storia calcistica cittadina con il Padova che è stato quello di Nereo Rocco e del catenaccio.
Con la fine del Calcio Padova si è sgretolato anche il settore giovanile della società e si sono trovati improvvisamente “a spasso” centinaia di giovani dagli 8 ai 19 anni. Lo svincolo automatico del tesseramento apre la strada all’esodo di centinaia di ragazzi oltre a quello dei professionisti della prima squadra, in altri lidi mentre le tante chiacchere sull’etica dello sport, sui valori positivi del calcio, sulla missione educatrice del Calcio Padova si sgretola di fronte alla realtà di una società e di uno sport tutto business e speculazioni, spesso azzardate, poco trasparenti e a volte fallimentari come in questo caso.
Non interessa qui entrare nel merito dei passaggi concreti che hanno portato alla fine del Calcio Padova per ricercare le responsabilità di questa o quella dirigenza della società: quello che emerge è un quadro desolante fatto da imprenditori che si lanciano in affari come quello della proprietà di una società sportiva, in questo caso calcistica, con scopi del tutto diversi da quelli dichiarati nelle varie occasioni mondane, ai microfoni dei giornalisti sportivi o nei pre e post partita. Altro che attaccamento alla maglia e baggianate varie da libro Cuore come ci propinano continuamente le redazioni sportive delle varie reti tv o le autobiografie più o meno ufficiali di questi magnati del calcio: quasi sempre a spingerli in questi affari sono i possibili tornaconto per le proprie aziende che amministrazioni comunali compiacenti possono fornirgli – anch’esse ben contente di farlo per poter usufruire di quel “calore” sportivo monetizzabile in consenso e voti che la presenza di una società di vertice nel “calcio che conta”, quello professionistico, gli può dare come tornaconto mettendo a disposizione di questi “illuminati” imprenditori pezzi di bene comune di tutti i propri cittadini – o i lauti benefici di una fiscalità compiacente. E poi ci sono i giocatori da comprare e vendere; che rappresentano un patrimonio della società, costi trasformati in investimenti che consentono di pasticciare con bilanci e fisco sempre a beneficio finale di chi “si è impegnato con il proprio capitale in prima persona perché grande appassionato di calcio”. E ci sono i ragazzini, le promesse del settore giovanile, perché ogni società calcistica che si rispetti, ci raccontano, lo sviluppa perché ha una missione sociale da svolgere, salvo poi pensare solo ed esclusivamente a vendere al miglior prezzo e nel tempo più breve possibile i “propri ragazzi” già alla soglia dei 14 anni, per lanciarli in un mondo professionistico dove a fare affari sono soprattutto i “mitici” procuratori che, salvo per pochi ragazzi privilegiati che raggiungono la vetta, si arricchiscono spostando i propri assistiti da una società all’altra ogni stagione agonistica o quasi.
Il fallimento del Calcio Padova come quello di altre società in questi anni, sia del mondo del Calcio ma anche di altri sport di squadra come il Basket, sgretola per chi voglia guardare senza paraocchi a quanto accade intorno a noi, quell’aurea di mito, di retorica, di buonismo che circonda un mondo di pescecani degli affari, delle operazioni poco trasparenti, degli evasori fiscali, degli arricchiti furbi a spese dei gonzi, dei mecenati fasulli. Mette a nudo la miseria culturale che sta dietro a queste operazioni, il nulla ammantato di retorica dello sport – questo sport – come palestra di valori positivi.
In questi mesi ci sono state a Padova manifestazioni dei tifosi contro l’ultima dirigenza in sella all’agonizzante Calcio Padova; ora si parla di azionariato dei tifosi per la nuova società ma nessun ragionamento critico è stato fatto su quanto avvenuto e sulla scarsa trasparenza di questo mondo sempre più dorato, sempre più sottoposto ad interessi economici e, quindi, sempre maggiormente soggetto a corruzione e truffe (calciopoli e calcioscommesse lo stanno a testimoniare).
Siamo sicuri che ci si diverta necessariamente di più oggi con questo calcio miliardario che a ben guardarlo dal di dentro è marcio in molte sue parti e ben diverso da quello che appare, e non riportando il calcio, lo sport in generale, ad una dimensione più “umana”, meno da fenomeni, meno da record e da fuoriclasse ad ogni piè sospinto? In fondo il ragazzino che sa fare il tunnel o la rovesciata o sa fare un bel lancio smarcante o un gran goal non deve necessariamente avere uno stipendio di 6-10 milioni di euro per riuscirvi; ci riesce a prescindere per le sue capacità e abilità motorie e perché, magari, ben allenato da chi lo fa con metodi di allenamento e non con l’aiuto della chimica. E questo potrebbe avvenire anche senza bisogno delle multinazionali del calcio professionistico; solo che a perderci sarebbero il carrozzone mediatico e la pletora degli imprenditori-manager che “investono” oggi sul calcio.
Pin, Blason, Scagnellato, Pison, Azzini, Moro, Hamrin, Rosa, Brighenti, Mari (Chiumento), Boscolo, la formazione del Calcio Padova della stagione 1957-58 sotto la guida di Nereo Rocco terminò terza il campionato di serie A divertivano chi li andavano a guardare all’Appiani tanto e forse di più di strapagati – per la categoria – come gli ultimi Rocchi o Vantaggiato. Se però si vuole un calcio minuto per minuto su Sky o Premium, incontri a tutte le ore e in ogni stagione, calciatori bionici che non vanno mai fuori forma, semidei da adorare e non bravi giocatori da apprezzare, ci dovremo accontentare anche di questa pletora di mecenati-imprenditori-manager che fanno e disfano senza perderci mai un soldo nel mondo del “Calcio che conta”. Mettere cioè nel conto il fallimento di una società storica come il Calcio Padova, la sua risalita…fino al prossimo crack almeno.